Nel momento più duro della crisi economica scatenata dal post Covid-19 e dai rincari di guerra, la Corte di Cassazione con le ultime pronunce entra a gamba tesa nel dibattito riguardante il Salario Minimo (“Giusto Salario”).
Gli Ermellini, cogliendo l’occasione scaturente dal ricorso proposto da un lavoratore dipendente, addetto nel Settore Vigilanza Privata, con la sentenza n.27713/2023 hanno cassato una recente Sentenza della Corte di Appello di Torino, rea di avere una visione troppo ancorata all’autonomia sindacale e all’esclusiva di cui godrebbe la medesima nell’ambito della contrattazione collettiva ex art. 39, comma 4 della Costituzione, riaprendo una vera e propria voragine di polemiche, chiusa in modo goffo dall’attuale compagine governativa (in stile “qualcosa si farà, ma non ora”), con affermazioni nette e dirompenti, che faranno discutere e riflettere.
In secondo grado, la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza resa dal Tribunale di Torino – Sezione Lavoro, di accoglimento della domanda proposta dal lavoratore ricorrente, sancendo la non conformità ai parametri dell’art. 36 Cost. del trattamento retributivo applicatogli, corrispondente a quello previsto dal CCNL per i dipendenti delle imprese di vigilanza privata, con accertamento del diritto del lavoratore a percepire un trattamento di base non inferiore a quello previsto dal CCNL dei dipendenti di proprietari di fabbricati e conseguente condanna della datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive maturate dal lavoratore.
Secondo la Corte di Appello, in effetti, non solo era stato pacificamente applicato al dipendente il CCNL di settore, stipulato dalla Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, ma, soprattutto, il Giudice di prime cure, facendo riferimento alla Contrattazione Collettiva stabilita per settori differenti, aveva violato i parametri a cui attenersi, ossia quelli fissati dalle parti firmatarie, la cui autonomia in ambito sindacale sarebbe preminente rispetto all’art. 36 Cost., aggiungendo, altresì, che il riferimento agli indici ISTAT sulla soglia di povertà, oltre che inconferente, era anche da considerarsi improprio, trattandosi di un indice riferito alle spese che un’intera famiglia dovrebbe poter sostenere mensilmente per essere considerata al di sopra della soglia di povertà assoluta.
Veniva, infine, rilevato che la sufficienza e proporzionalità della retribuzione andava valutata con riferimento alla retribuzione effettiva globale (inclusi gli straordinari) e non con specifico riguardo alla singola clausola retributiva, anche riguardo all’indice ISTAT.
La Suprema Corte, nel porsi in pieno contrasto con quanto statuito in secondo grado, ha avviato il proprio ragionamento ricordando un proprio precedente (Sentenza n. 24449/2016), in cui aveva avuto modo di ribadire i due diritti scaturenti dall’art. 36, comma 1 della Costituzione, ossia il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché il diritto ad una retribuzione sufficiente a condurre una esistenza dignitosa (implicitamente “richiamando all’ordine” i Giudici di secondo grado, che, al contrario, avevano addirittura denigrato il riferimento agli indici ISTAT relativi alla soglia di povertà assoluta).
Con riguardo, poi, ai parametri da considerare, gli Ermellini hanno sancito che il Giudice, in ipotesi di valutazione della sufficienza e proporzionalità della retribuzione percepita dal lavoratore dipendente, gode di ampia autonomia circa l’indagine da condurre rispetto al precetto costituzionale ex art. 36, potendo non solo parametrare la retribuzione “censurata” ad altri CCNL di settori assimilabili (e potendo, altresì, prescindere dal requisito di rappresentatività riferito ai sindacati stipulanti), ma, addirittura, estendere la valutazione agli indici più significativi, tra cui anche quello ISTAT suindicato.
Inoltre, sempre in tale ipotesi deve essere consentito al Giudice Interno, quale primo Giudice Europeo[1], di raffrontare la retribuzione alle indicazioni e alle politiche occupazionali di matrice UE, tra cui la recente Direttiva n. 2022/2041 sui salari adeguati, la quale, al considerando 28, ha affermato che “un paniere di beni e servizi a prezzi reali stabilito a livello nazionale può essere utile per determinare il costo della vita al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso. Oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio, si potrebbe tener conto anche della necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali”, con ciò convalidando la tesi secondo cui la valutazione deve avere ad oggetto aspetti non solo relativi alla mera sopravvivenza, ma anche sociali.
[1] “In virtù dell’integrazione del nostro ordinamento a livello europeo ed internazionale, l’attuazione del precetto del giusto salario costituzionale è divenuta un’operazione che il giudice deve effettuare considerando anche le indicazioni sovranazionali e quelle provenienti dall’Unione Europea e dall’ordinamento internazionale” (cfr. Sentenza cit.).
Merita menzione in questa sede anche il richiamo espresso dalla Cassazione alla Convenzione OIL del 16.06.1928, che quasi cento anni fa aveva ribadito l’esigenza di imporre un salario minimo per legge, al di sotto del quale non doveva essere consentito stipulare contratti.
A conclusione di un percorso argomentativo notevole, la Suprema Corte, cassando la sentenza della Corte d’Appello, ha fissato i seguenti princìpi a cui la medesima deve attenersi nel decidere, vale a dire:
1. Nell’attuazione dell’art. 36 della Costituzione, il Giudice di merito, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, potendo però, anche d’ufficio, discostarsene motivatamente, quando la stessa appaia in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della medesima;
2. Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale, il Giudice può servirsi dei parametri ricavabili da altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe;
3. Allo stesso modo, il Giudice può fare riferimento, all’occorrenza, ad indicatori economici e statistici, secondo quanto suggerito ed indicato dalla Direttiva UE n. 2022/2041, tenendo conto sia degli aspetti consumeristici, sia di quelli sociali (esistenza non solo non povera, ma dignitosa!).
Orbene, alla luce di quanto sinora esposto, l’auspicio è che gli effetti di tale pronuncia, sicuramente dirompenti, non tardino ad esplicarsi e a propagarsi, vista la nota funzione nomofilattica attribuita dall’Ordinamento interno alle sentenze della Corte di Cassazione.
Sarebbe, altresì, opportuno che la Politica inizi seriamente a gettare le basi per una legge ordinaria, in grado di recepire finalmente il parametro costituzionale fissato dall’art. 36, possibilmente ancorandolo ad aggiornamenti salariali indicizzati.
Avv. Paola Genito 05-10-2023