Protesta degli Agricoltori: L’ analisi di Carlo Coduti

TRA SENSO DI SMARRIMENTO E STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE

La solidarietà nei confronti dei lavoratori del settore agricolo deve essere chiara, autentica e non strumentale. C’è un malessere diffuso che trascende persino la specificità delle dinamiche di settore e non è dissimile da altri comparti produttivi.

Esplosione dei costi, alta inflazione, questione energetica, una certa ideologia «turbo ambientalista» percepita come distante dalla vita reale di chi quotidianamente deve affrontare i rischi e la fatica della produzione, un mercato invaso da merci globali rispetto alle quali ci sente impotenti, contrazioni dei margini d’impresa e smarrimento della missione del proprio lavoro.

Rispetto a questo malessere, emerge purtroppo, soprattutto da parte della Lega – non nuova a questo genere di azioni (quote latte docent) – un evidente tentativo di cavalcare la protesta, fomentando ed alimentando sentimenti anti europei, con il malcelato obiettivo di guadagnare consensi in vista delle prossime elezioni continentali.

Anzitutto bisognerebbe ricordare che, nel quinquennio europeo in chiusura, la Lega annovera il più numeroso gruppo parlamentare italiano a Strasburgo. Sarebbe il caso di dare conto di ciò che si è fatto invece di abusare del disagio degli agricoltori per tentare di arginare la propria crisi di consenso.

In ogni caso, l’Europa non è il nemico da abbattere se è vero – come è vero – che destina un terzo del proprio bilancio alla PAC, Politica Agricola Comune (oltre 400 miliardi di euro). Altra cosa è ritenere che la politica agricola europea vada rivista in alcuni aspetti, anche perché tracciata prima dell’ondata pandemica e della crisi russo-ucraina.

È tuttavia infondato e disonesto negare che le politiche comunitarie convergano su obiettivi ampiamente condivisibili: Sicurezza alimentare e Sostenibilità delle produzioni agricole. Nondimeno, va riconosciuto che gli obiettivi strategici delle politiche comunitarie debbano svilupparsi in sincronia con la difesa delle imprese e delle produzioni comunitarie. Ne deriva la necessità di revisionare taluni criteri unitamente alla possibilità di avanzare proposte di buon senso da parte degli Stati membri.  Bisognerebbe però ricordare a Tutti, agricoltori compresi, che l’Europa ha responsabilità di delineare le politiche (con specifici Regolamenti) ed appostare le Risorse. Sono poi gli Stati Membri che, nel recepire tali indirizzi, attuano concretamente la politica agricola.

Pertanto, in ambito nazionale ci sono ampi margini per adeguare gli indirizzi comunitari alle realtà e ai contesti territoriali attraverso i Piani di Sviluppo Nazionali cui seguono quelli Regionali. Sul punto, perciò, emergono e si impongono alcune riflessioni strategiche non più eludibili.

  1. Da sempre, nel nostro paese, la PAC (Politica Agricola Comunitaria) è indirizzata ad una platea ampia di beneficiari, attraverso barriere di ingresso permissive e poco vincolanti. L’effetto è la letterale esplosione del numero dei (potenziali) beneficiari. Attori, in larga parte, distanti da qualsiasi condizione minimale di «impresa».

Intendiamo proseguire lungo questa strada o pensiamo di «restringere il campo» degli interventi verso tipologie di «imprese agricole» in grado di utilizzare le risorse per ingenerare sviluppo e valore aggiunto?

  1. Seguitiamo a sovvenzionare Tutto – migliaia e migliaia di singole proposte con piani di sviluppo che, nel medio-lungo periodo, sono economicamente insostenibili – oppure immaginiamo di focalizzare gli investimenti su specifici comparti produttivi e modelli organizzativi più virtuosi e performanti, in grado di emanciparsi dal sostegno perenne?

Questi sono i temi che dovremmo laicamente analizzare e queste le sfide cui approcciarci con coraggio e senso del bene comune, altrimenti prevarrà il solito gioco delle ipocrisie, non di rado concomitante con gli appuntamenti elettorali.

Carlo Coduti – Resp. Agricoltura PD Sannio